Settimana scorsa i miei genitori hanno deciso, di punto in bianco, di vendere i miei due computer (fisso e portatile) per potermene comprare uno nuovo, più performante e comodo da usare. Sono subito stato d'accordo con questa loro decisione, essendo che da molto tempo desideravo poter navigare in internet e scrivere con tranquillità — eppure mai mi sarei aspettato che avrebbero venduto il mio computer fisso lo stesso giorno, e il portatile il giorno dopo.
Sono dunque rimasto per un po' di giorni senza computer, riducendomi alla mezzanotte a scrivere racconti brevi o capitoli, poiché ho bisogno di un ambiente calmo e silenzioso per scrivere, ed essendo il computer di mia madre in sala non potevo nemmeno sperare di mettermi al lavoro durante le ore di luce.
Sono stati giorni difficili, tra sincronizzazioni del telefono mancate e musica persa (grazie Spotify, grazie di esistere).
In attesa dell'arrivo del mio nuovo portatile, che sto utilizzando ora, ci siamo messi a spostare un po' di cose in camera mia, tra cui il pezzo di mobilia che incorniciava il vecchio computer fisso e fungeva da scaffale multiplo. Ora quella parte della mia stanza, dunque la mia scrivania, sembra incredibilmente vuota, e dovrò trovare modi creativi per riempire il muro.
Il punto, però, non è questo. Il punto è che se mia madre si mette a spostare un oggetto in camera mia, automaticamente si metterà a fare le pulizie in ogni dove. Ed ha trovato questo libro:
|
faccia perplessa faccia perplessa faccia molto perplessa |
Lezioni di scrittura creativa, autori vari, bla bla. Principalmente, è scritto da gente che nell'ambiente dell'editoria ci lavora come scrittore, editor, maestro e bla bla bla.
Ho comprato questo libro, se non mi sbaglio, quando avevo tredici anni e sognavo di diventare scrittore. Era un sogno strano, e debole; seguendolo ho fatto moltissime scelte che non avrei dovuto fare, e ho conosciuto realtà interessanti. Ora, però, è solo un lontano ricordo. Sognavo di scrivere libri fantasy ambientati in mondi magici e colorati, con personaggi adolescenti e situazioni estremamente classiche. Per questo avevo comprato il libro, perché la mia amica Luna, anche lei appassionata di letteratura e scrittura, ne aveva acquistato una copia caldeggiandomene la lettura. Ed ecco fatto.
Ricordo di averne letto pochi capitoli, e ricordo un passo che diceva espressamente di evitare i cliché e le situazioni inutili (come le
descrizioni di un tizio che si imburra un panino).
Poi però è entrato nel dimenticatoio, luogo fisico e mentale.
Fino a qualche giorno fa. E appena l'ho preso in mano, le mie reazioni sono state due, abbastanza contrastanti.
- WOW, adesso che sto scrivendo romanzi potrei leggerlo e imparare cose nuove e migliorare e WOW!
- uhm, ma ne ho davvero bisogno?
Non fraintendetemi. Non credo di essere maturo come scrittore e non credo di non avere bisogno di guide. Però il ritrovamento di questa reliquia del passato (stiamo parlando dell'estate tra la terza media e il liceo. Quanti ricordi!) ha scatenato una serie di ragionamenti e riflessioni su quanto io sia cresciuto come scrittore e come persona.
A tredici anni leggevo libri fantasy e scrivevo storie incredibilmente simili a quelle di tali libri poiché mi piacevano talmente tanto che sentivo il bisogno di farle mie. Quando dico incredibilmente, intendo dire
oh mio dio questo è plagio. In un certo senso, non me ne accorgevo nemmeno. Avevo iniziato il racconto di questo ragazzo che si ritrova accolto in un fitto bosco da un fauno dal nome che finisce in
-umnus. Tale bosco, si scopre in seguito, è parte di un modo a cui capo siede un grande e regale lupo. Vi dice qualcosa?
Nonostante sognassi di diventare scrittore, scrivevo storie che non mi appartenevano, prendendo elementi apprezzati da altre parti e cercando di avvicinarmici il più possibile. Posso dire in tutta sincerità di essermi divertito molto: scrivere stava iniziando a diventare una realtà interessante e concreta.
Quando ho realizzato di aver praticamente copiato tutte le mie opere preferite, però, è stato un vero e proprio
dramma. Realizzare di non avere idee proprie e di non riuscire a trovarne di originali è stato un colpo basso, e per anni interi non mi sono ripreso: ho lasciato da parte la scrittura e mi sono dedicato al disegno e ad altre cose. Fino a qualche tempo fa.
L'anno scorso è sorto in me il desiderio di provare, di nuovo, a creare attraverso la scrittura, e dopo aver passato i primi anni dell'adolescenza a scrivere racconti per niente originali mi sono promesso una cosa: di
scrivere solamente ed unicamente storie originali, mai viste, che venissero direttamente dalla mia persona.
Questo è il mio motto personale, è la mia
filosofia di scrittura. Se qualcosa non mi sembra originale, la cestino. Se non viene da me, non ci spenderò tempo. Ho diciannove anni, non tredici, e credo di poter benissimo sforzarmi a diventare uno scrittore solido e dalle buone idee. Cerco sempre di trovare, ovunque, quell'idea bizzarra che mi ispiri a migliorarmi come scrittore e come persona; cerco sempre di creare qualcosa di nuovo, che potrebbe piacere.
Però, pensando a ciò che ho fatto negli ultimi anni, mi chiedo cosa mi abbia effettivamente aiutato dal punto di vista stilistico, oltre che da quello narrativo. E, stupidamente, credo che ad aiutarmi così tanto siano stati i
brutti libri.
Dicono che uno scrittore, per saper scrivere bene, debba
leggere un sacco. E posso essere d'accordo. Però credo che ci sia differenza tra l'apprendere qualcosa da un libro bello, e l'apprendere qualcosa da un libro brutto. Chiaramente, una qualsiasi persona non potrà prendere la stessa identica cosa da due libri opposti, e trovo anche che questo discorso sia
soggettivo e personale. Ma sono convintissimo di aver imparato di più leggendo libri orrendi, rispetto a libri dignitosi.
Quando leggo un bel libro, riesco a portarmi a casa delle sensazioni piacevoli, degli immaginari interessanti, dei tratti caratteriali inaspettati dei personaggi. Leggere un buon libro è sempre qualcosa di bello, perché equivale a passare dell'ottimo tempo leggendo qualcosa di qualità. Eppure,
imparo da chi non sa scrivere.
Perché quando leggo un brutto libro, vedo gli errori che non vorrei mai fare, i dialoghi che non vorrei mai scrivere e i cliché che non sopporterei in un libro di mia creazione. Leggere un brutto libro, per quanto sia frustrante e tante volte odioso, mi aiuta a crescere come scrittore, in quanto separa con una linea netta ciò che potrei fare da ciò che non accetto, e lo fa con estrema chiarezza. Leggere un brutto libro, per me, equivale a conoscere dei limiti che, preso nella lettura di un buon libro, non riuscirei a vedere.
La domanda che mi pongo ora è la seguente:
ho bisogno di un libro che mi insegni a scrivere attraverso apposite guide? E non riesco a trovarmi una risposta. So che nella scrittura ci sono meccaniche, tecniche e trucchi, e so di non essere nessuno per ignorarle, ma non posso fare altro che contemplare la mia crescita negli anni, quanto scrivere fanfiction durante l'adolescenza mi abbia aiutato, quanto leggere Young Adult da quattro soldi mi abbia insegnato cosa non fare, quanto i miei maestri siano comunque gli scrittori di libri di qualità e quanto io voglia avvicinarmici.
Ci sono diverse cose che fanno dunque crescere uno scrittore. Non metto nemmeno in dubbio che la lettura di libri belli mi abbia dato una spinta, ma riesco a trovare insegnamenti puramente tecnici leggendo qualcosa di povero a livello qualitativo. Mi è incredibilmente più facile vedere dove potrei sbagliare in una brutta creazione.
Credo che i brutti libri abbiano effetto sulla crescita di uno scrittore. Credo che, da questo punto di vista, siano importanti quanto i bei libri.
E credo che senza aver letto certi orrori non sarei mai riuscito ad arrivare dove sono ora — ossia al primo gradino di una
scala lunghissima. La strada da fare è ancora lunga, ma il primo passo è importantissimo: io credo di averlo fatto nel modo più giusto.